Educazione e testimonianza
Ho avuto la fortuna di condividere il palco con il grande Franco Nembrini di recente, e durante quel momento ha confermato alcuni dei miei pensieri, esponendoli con la sua solita forza e maestria. La questione dell’educazione è complessa: non possiamo educare solamente con le parole, poiché la conoscenza non significa semplicemente riempire le menti dei nostri ragazzi.
Quando parliamo con loro, stiamo usando parole che si riferiscono al nostro orizzonte di senso, che spesso non coincide con il loro. I ragazzi osservano, osservano e osservano ancora. E imparano da questa osservazione. La loro percezione della realtà è potente, soprattutto quando si tratta delle figure di riferimento. Pertanto, si educa attraverso la testimonianza.
Noi siamo i testimoni che, con le nostre azioni e comportamenti, avviamo il processo educativo. La nostra testimonianza significa anche creare un ambiente positivo in cui i ragazzi possano vivere. Non ha senso rimproverare un figlio per la sua aggressività se in famiglia si vive lo stesso clima. Si educa attraverso un amore incondizionato, nonostante le incongruenze dei nostri ragazzi. Proviamo a dire ai nostri figli che li amiamo e che gli vogliamo bene proprio quando ci presentano situazioni difficili che potrebbero farci arrabbiare.
Forse, per educare i nostri ragazzi, è essenziale rieducare noi stessi e comprendere che accogliere le loro imperfezioni è la strada maestra per iniziare una relazione vera con loro.
La scorsa settimana, mentre entravo in una classe, ho notato un ragazzo in lacrime. Mi sono avvicinato a lui e gli ho chiesto cosa fosse successo. Era semplicemente sconvolto perché aveva preso un tre in una verifica e temeva di dirlo a suo padre. Gli ho consigliato di provare a parlare con suo padre e di far notare come, d’altronde, in altre materie aveva ottenuto voti migliori. La risposta del ragazzo è stata sconcertante: mi ha detto che suo padre si arrabbia enormemente solo per le insufficienze e non è interessato ai voti positivi. Mi ha confessato: “Non mi ha mai detto ‘bravo’ neanche quando ho portato a casa un otto”. Di fronte a questa risposta è stato difficile proseguire…