Il Silenzio

Il silenzio nella riflessione filosofica e pedagogica

Il Silenzio

Il silenzio nella riflessione filosofica e pedagogica. Articolo Copyright Pietro Riparbelli

Vi è una stretta correlazione tra suono, ascolto e silenzio, in quanto, per ascoltare bene e di conseguenza riuscire a decifrare un suono, oppure una parola, è necessario che il soggetto percipiente riesca ad abitare una dimensione silenziosa. Il silenzio può essere compreso, quindi, sia come l’origine che precede la propagazione del suono, sia come quella dimensione all’interno della quale il soggetto è in grado di percepire il suono stesso. Dobbiamo partire dal presupposto che il silenzio è il momento aurorale dell’ascolto e l’a-priori della possibilità di qualsiasi suono, nonostante gli studi della filosofia e della scienza abbiano costatato che il silenzio assoluto non esiste in natura. Giovanni Piana in Filosofia della musica afferma che:

il silenzio stesso, da cui un singolo suono si staglia, nella sua precisione e determinatezza, può essere concepito come una sorta di texture sonora, come una trama di piccoli suoni, come un brulichio e un mormorio. Questo silenzio mormorante è l’altro aspetto del silenzio: esso consta di un formicolare di suoni che stanno sulla soglia della consapevolezza, che sono avvertiti appena o che sono del tutto inavvertiti, nel senso delle cose che stanno sullo sfondo e che perciò non vengono notate[1].

Qualsiasi tentativo, quindi, di percepire il silenzio come assoluta mancanza di suono è da ritenersi fallimentare. Anche se ci trovassimo sulla cima di una montagna in solitudine e lontani da fonti sonore, molto probabilmente la nostra percezione uditiva sarebbe messa in funzione da qualche sottilissimo sibilo percepito in lontananza, oppure dal vento che s’infrange sui nostri orecchi creando suono. La scienza ha avvalorato l’ipotesi dell’impossibilità dell’esistenza del silenzio assoluto grazie proprio all’esperimento della camera anecoica. La camera anecoica è strutturata in modo che sia impossibile udire qualsiasi tipo di suono al suo interno: è un ambiente laboratoriale strutturato per ridurre il più possibile la riflessione di segnali sulle pareti. Il compositore americano John Cage, tra i primi artisti a interessarsi al fenomeno del silenzio, entrando in una camera anecoica dell’Università di Harvard rimase sconvolto nel costatare che, nonostante non avesse dovuto udire alcun suono in virtù delle proprietà della stessa, stava udendo invece due suoni distinti: il suono prodotto dal funzionamento del sistema nervoso e quello prodotto dalla circolazione del sangue.

Infatti, quando entriamo, dopo esserci convinti da perfetti ignoranti che il suono ha come suo evidente contrario il silenzio, e che la durata è l’unica caratteristica del suono misurabile in termini di silenzio…quando entriamo, ripeto, in una camera anecoica, silenziosa quanto ce lo rende possibile la tecnica del 1951, e scopriamo che sentiamo due rumori da noi prodotti involontariamente (il funzionamento sistematico del sistema nervoso e la circolazione del sangue), allora la situazione in cui ci troviamo non è oggettiva (suono-silenzio) bensì soggettiva (soltanto suoni, quelli intenzionali udibili, e quelli non intenzionali, non udibili: il cosiddetto silenzio)[2].

Nonostante la consapevolezza che il silenzio assoluto non esiste, è tuttavia necessario considerare il silenzio non soltanto dal punto di vista quantitativo – cioè come dimensione che non può prescindere dalla presenza del suono – bensì anche dal punto di vista qualitativo. Il silenzio può essere così, lo spazio che precede la propagazione del suono percepito, il vuoto necessario per riuscir ad ascoltare un suono, oppure una dimensione interiore di quiete, utile al corretto posizionamento dell’individuo nel mondo. Il taglio della nostra indagine, che da adesso in poi si farà sempre più influenzare dalla ricerca pedagogica, ci obbliga a prendere in considerazione la dimensione silenziosa come prettamente necessaria per lo sviluppo della persona e contemporaneamente necessaria per riuscir ad attuare una profonda e sincera educazione all’ascolto del mondo e all’ascolto dell’altro.

Plutarco nel suo scritto Per un parlare efficace, pone l’accento sul fatto che l’incapacità di ascoltare da parte dell’uomo è in stretta relazione con la sua incapacità di tacere. Nella società contemporanea il silenzio è temuto a tal punto da essere rifuggito con qualsiasi mezzo a disposizione da parte dell’uomo. Pensiamo ad esempio ai luoghi pubblici delle nostre città dove è trasmessa musica di sottofondo – la cosiddetta Musica da ascensore o Muzak[3]per evitare il pericoloso oblio che il silenzio porterebbe farci percepire durante le attese. Le sale delle stazioni, gli aeroporti, i bar, i ristoranti; tutti luoghi dove potremmo benissimo evitare di ascoltare musica. Spesso poi la scelta della musica trasmessa come sottofondo è prettamente casuale e alle volte in netto contrasto estetico anche con l’ambiente nel quale è trasmessa. Ricordo ancora molto bene un bellissimo caffè con splendida vista sulle Dolomiti, preludio per una possibile contemplazione interiore, dove ogni giorno veniva trasmessa come sottofondo musica brasiliana. L’abitudine diffusa di rompere il silenzio attraverso l’introduzione di musica superflua dimostra come l’uomo contemporaneo sia spaventato dal sostare in silenzio e attui qualsiasi strategia in suo possesso per creare un brusio apparentemente rassicurante, con il preciso intento di distrarre il pensiero. Aver smarrito la pratica della contemplazione silenziosa denota la totale perdita della capacità di sostare nell’interiorità, di essere in rapporto con un mondo interiore che è fatto di silenzio, buio e riflessione. L’ascolto, tuttavia, si origina da una meditazione silenziosa,

che porta con sé una potenziale disposizione a essere attenti, indispensabile per conoscere. Ciò difatti permette alla persona di prestare ascolto ai rumori celati nel silenzio, di percepire il senso recondito e primitivo della realtà che la attornia, nascosto dietro una fittizia superficie: l’apparire[4]

L’esercizio paziente, necessario per imparare ad ascoltare il silenzio, rivela una profonda portata educativa tesa ad agevolare il soggetto nel predisporsi verso l’accogliere sé stesso e l’altro. Il Silenzio, infatti, non può essere considerato solamente come un intervallo tra i suoni, bensì, come un mezzo che ci traghetta verso la percezione del suono e che contemporaneamente ne è parte; il momento aurorale che «permette di tradurre in atto l’ascolto e la parola»[5].

Saper abitare la dimensione silenziosa consapevolmente ci consente di accogliere l’altro ed il mondo in modo non distratto, ma consapevole. Da un punto di vista strettamente pedagogico possiamo affermare che educare al silenzio è possibile e necessario per lo sviluppo dell’educando. «Si tratta di mettere a punto e coltivare una pedagogia del silenzio, per educarsi ed educare a un silenzio ascoltante, da intendere non come spazio in cui nascondersi ma come luogo privilegiato di conoscenza e di ristrutturazione identitaria»[6]. É necessario abituarsi a riscoprire l’importanza del silenzio per essere in grado di ascoltare ed ascoltare bene il mondo che ci circonda e di conseguenza l’altro, e per ridefinire l’incontro interumano in termini di vera comprensione. Educare al silenzio interiore deve essere una pratica basilare per agevolare la percezione dei fenomeni sonori nella loro totalità espressiva.

Il silenzio diventa, così, l’ambito privilegiato della comunicazione e la condizione necessaria perché questa possa avvenire. La qualità del silenzio, che precede ogni tipo di ascolto e comunicazione, determina altresì la ricchezza espressiva e sensibile della comunicazione stessa.

Se accettiamo che anche durante il silenzio stiamo comunicando, allora durante il silenzio stiamo anche ascoltando. Non solo, quindi, stando in silenzio produciamo comunicazione, mettendo in moto il meccanismo di ricezione, ma siamo anche ascoltatori attivi e, almeno in termini generali, accettiamo tale silenzio, ne capiamo le motivazioni e i nessi interazionali e rispondiamo, di nuovo, perfino con il silenzio[7].

A detta di Luigi Pati il silenzio è un vero e proprio modulo comunicativo e non è da intendere come assenza di parole oppure come mancanza di capacità dialogiche. Pati mette in relazione il silenzio con la solitudine, distinguendo una solitudine negativa, deleteria, dove il silenzio assume l’aspetto del mutismo, da una solitudine positiva e cioè costruttiva, dove il silenzio si carica d’innumerevoli significati assumendo la forma del dono che si apre alla comprensione altrui. Prendendo in considerazione il silenzio collegato alla condizione di solitudine positiva, Pati cerca di «procedere all’avvaloramento del silenzio, considerato in termini di comunicazione interiore, sostenuto dalla volontà individuale d’intendere e di rispettare la propria e l’altrui volontà»[8]. Distingue, inoltre, tra un silenzio comunicativo intrapersonale che trova origine nell’atto di contemplazione interiore, il quale non potrà mai essere inferiore alla parola, che invece da esso trae giovamento, e un silenzio comunicativo interpersonale, fatto di pause dalle quali possono scaturire disagi, oppure intese, relativamente al tipo di rapporto esistente tra le persone coinvolte nella relazione. La nostra indagine si concentra principalmente sul silenzio comunicativo intrapersonale quale possibile medium per raggiungere una sorta di autoperfezionamento della persona. È un silenzio questo, che porta a sospendere il dialogo dell’uomo con l’ambiente circostante per aprire uno spazio privato di riflessione. «Con esso si acquista il senso del “meraviglioso” di fronte al mondo circostante e si trae l’incentivo per impegnarsi nella scoperta dei misteri dell’esistenza. Soltanto se l’uomo apprende a godere del silenzio può accedere al dialogo interiore»[9]. Pati individua varie caratteristiche proprie del silenzio comunicativo intrapersonale che possono portare a degli approfondimenti formativi. Nel dialogo interiore, ad esempio, la situazione di vita è più duttile rispetto a quella reale e questo implica la necessità di abituare l’educando a saper porre in essere diverse alternative di condotta e scegliere tra di esse.

Si tratta di avviarlo al sapiente uso del silenzio come momento in cui mettere in pratica la propria capacità di riflessione allo scopo di ordinare i propri pensieri, chiarire le varie alternative d’azione. É questo il silenzio per mezzo del quale il soggetto impara a controllarsi, in attesa di prendere iniziative o decisioni[10].

Si sente forte l’esigenza di passare da un silenzio inteso con le caratteristiche della passività a un silenzio attivo, presente, che sia in grado di poter accogliere l’ascolto. Un silenzio, potremmo dire, parlante, che porta con sé un grande valore pedagogico di apertura e che ci permette di essere in relazione con la propria e altrui interiorità. L’ascolto del silenzio rende possibile intraprendere un vero e proprio cammino di trasformazione interiore verso un continuo perfezionamento delle facoltà percettive. É opportuno mirare a un ricupero educativo del silenzio, «che deve farsi presenza, in quanto esso è in grado di forgiare l’animo umano allo stesso modo del Logos»[11].

Possiamo terminare questo breve inciso riguardante il silenzio con l’acquisita consapevolezza che, per riuscir ad ascoltare bene sia il mondo circostante, sia gli altri, è essenziale porre attenzione massima al fenomeno del silenzio. Il silenzio è la dimensione preliminare dell’ascolto, sia dal punto di vista fenomenologico, come l’assenza che precede il suono, sia dal punto di vista psicologico, come silenzio interiore che facilita l’adesione al mondo e la comprensione dell’altro. Oggi siamo sempre più immersi nella dimensione del rumore e la diffusione dei media ha condotto la società contemporanea verso lo smarrimento della condizione silenziosa. «Il silenzio è escluso dal mondo contemporaneo, sostituito dal mutismo e dalla vacuità; il silenzio sembra oggi nient’altro che un errore di fabbricazione nel flusso continuo del frastuono»[12]. Assistiamo a scene di ragazzi piegati sui loro telefoni per tutta la durata del giorno, quasi a voler escludere dall’esperienza quotidiana la presenza del vuoto, di momenti di riflessione silenziosa. Un vuoto che avrebbe invece caratteristiche positive frapponendosi fra l’azione e la riflessione, quale privilegiato veicolo verso la pratica della contemplazione. Sostare in silenzio contemplando la natura, oggi, spaventa la gran parte delle persone che preferiscono, sviando da questa pratica, abitare un pieno di informazioni rumorose e mai necessarie.

È essenziale, allora, in ambito didattico, lavorare sullo sviluppo di buone pratiche che portino a fare riflettere sull’importanza del silenzio per aiutare gli educandi a comprendere che, silenzio, non significa assenza di contenuto ma pienezza strabordante di contenuti; gli unici in grado di trascendere il soggetto stesso in formazione.

Il silenzio non è un’assenza. Al contrario, è la manifestazione di una presenza, più intensa di qualsiasi altra presenza. Il discredito gettato sul silenzio dalla società moderna è il sintomo di una malattia grave e inquietante. Le vere domande della vita si pongono nel silenzio. Il nostro sangue scorre nelle nostre vene senza fare alcun rumore e non riusciamo a sentire i battiti del nostro cuore se non nel silenzio[13].


[1] Ivi, 66.

[2] J. Cage, Silenzio, Milano 2010, 21.

[3] Con il termine musica da ascensore, in seguito denominata Mauzak, ci si riferisce ad alcune espressioni musicali generalmente strumentali, che sono diffuse all’interno di spazi pubblici, generalmente supermercati, centri commerciali, ristoranti, aeroporti, hotel, ascensori, con il solo scopo di intrattenere durante le attese. Successivamente il termine sarà utilizzato per descrivere tutti i tipi di musica leggera di facile ascolto. Contraddistinta da melodie molto semplici e lineari, questo genere di musica, è stato pensato al fine di non disturbare l’ascoltatore. Si tratta di musica destinata ad una fruizione involontaria, obbligata per chiunque si trovi in determinati spazi. Una musica molesta proprio per la propria funzione di ascolto passivo.

[4] C. Spina, Ascoltare l’educazione, 51.

[5] Ivi, 55.

[6] Ivi, 53.

[7] L. Lugli, Ascoltare il silenzio, in L. Lugli M. Mizzau, (Edd.), L’ascolto, Bologna 2010, 192-193.

[8] L. Pati, Pedagogia della comunicazione educativa, Brescia 1984, 228-229.

[9] Ivi, 231.

[10] Ibidem.

[11] C. Spina, Ascoltare l’educazione, 58-59.

[12] M. Picard, Il mondo del silenzio, 84.

[13] R. Sarah, La forza del silenzio. Contro la dittatura del rumore, Siena 2017, 34.