La Percezione Uditiva
Teorie filosofiche sulla percezione uditiva
Siamo soliti distinguere facilmente i suoni che popolano il nostro ambiente uditivo senza la necessità di porci domande su di essi o instaurare dei processi complessi di decodifica. Albert Bregman, uno dei più famosi psicologi dell’udito, nel testo Auditory Scene Analysis, si interroga sui meccanismi grazie ai quali l’essere umano riesce a dare un senso alla molteplicità degli stimoli acustici. Non ama il termine suono poiché lo ritiene un vocabolo tecnico che rimanda alla causa fisica dello stesso, preferendo utilizzare il termine flusso uditivo. Il flusso uditivo è, per Bregman, «un’unità percettiva costituita da più suoni coerenti»[1], una vera e propria rappresentazione percettiva del suono. L’analisi della scena uditiva avviene partendo da una serie di informazioni caotiche che il nostro sistema uditivo riceve e attraverso le quali, in seguito, sono ricostruite descrizioni mentali distinte, corrispondenti agli specifici eventi che hanno dato origine al fenomeno sonoro. Per analizzare la scena uditiva Bregman individua due passaggi fondamentali. Il primo riguarda il processo primitivo di raggruppamento uditivo che ha inizio quando la gamma di segnali uditivi viene scomposta «in una serie di elementi sensoriali di base dotati di certe caratteristiche: un’altezza specifica, una localizzazione, determinate caratteristiche temporali»[2]. Il secondo passaggio, invece, riguarda l’applicazione di schemi basati sulla conoscenza pregressa di suoni familiari. «In altre parole, il sistema percettivo deve conferire un senso coerente alla molteplicità caotica di stimoli acustici attraverso il raggruppamento primitivo e, a un secondo livello, attraverso il riconoscimento degli stimoli uditivi come suoni distinti»[3].
Bregman è stato il primo studioso a proporre un’analisi della scena uditiva facendo dialogare la psicologia della Gestalt con l’approccio ecologico alla percezione e sottolineando a più riprese la relazione costante tra soggetto e ambiente. Nelle sue ricerche ritroviamo chiara l’ispirazione fornitagli dallo psicologo americano James Gibson, del quale abbiamo accennato sul finire del precedente capitolo, fonte d’ispirazione anche per il compositore e teorico canadese Raymond Murray Schafer – del quale parleremo approfonditamente nei capitoli successivi – e per la sua teoria del paesaggio sonoro, radicata integralmente nell’approccio ecologico alla percezione. Gibson si rifiuta di credere che l’ascolto sia possibile soltanto attraverso l’apparato uditivo, così come descritto nei manuali di fisiologia e di anatomia e afferma, in The senses considered as perceptual system, testo edito nel 1966, che l’ascolto è reso possibile grazie anche al complesso sistema che include le orecchie e i muscoli necessari per orientare il soggetto verso la fonte sonora. Il sistema uditivo durante l’ascolto orienta prima le orecchie e successivamente la testa verso la fonte sonora; «si tratta di un’attività multifattoriale che consiste nell’isolare un suono in un ambiente sonoro e che va distinta da quella, puramente meccanica, del semplice sentire»[4]. Grazie a questo sistema siamo in grado di localizzare l’evento vibratorio che produce il suono. L’ascolto non è soltanto l’attivazione della sensazione uditiva, ma l’attivazione di un processo complesso teso all’individuazione della direzione dell’evento sonoro quale causa del suono. In seguito alla percezione del suono il sistema uditivo individua la natura dell’evento sonoro rendendone possibile l’identificazione. Per Gibson il sistema uditivo dell’uomo e degli animali superiori si sarebbe sviluppato quando «gli animali iniziarono ad “ascoltare” l’aria, oltre che a respirarla»[5], per estrarre dall’ambiente informazioni utili, necessarie per l’adattamento e la sopravvivenza.
È necessario adesso prendere in considerazione due differenti teorie sull’ascolto dei suoni che hanno ingenerato, nell’ambito della filosofia della percezione, non poche controversie. Molti studiosi si sono chiesti che cosa davvero percepiamo attraverso l’udito. Dopo aver percepito un suono potremmo dire di aver percepito soltanto il suono con le sue proprietà caratteristiche, oppure la fonte stessa dalla quale il suono deriva?
Queste due possibilità sono alla base di una controversia molto accesa in filosofia della percezione che vede protagonisti, da una parte, coloro che teorizzano un contatto diretto con il mondo – e dunque con gli oggetti che producono i suoni – e, dall’altra, quelli che ritengono che la nostra percezione del mondo sia indiretta, mediata dalla percezione dei suoni che, pertanto sarebbero l’unica cosa che sentiamo direttamente. Entrambe queste concezioni sono legittime, poiché poggiano su due diverse – ma entrambe plausibili – intuizioni sulla natura della percezione sonora[6].
I fautori della teoria della percezione indiretta del mondo, tra i quali potremmo citare il filosofo James Berkeley, sostengono che ciò che percepiamo immediatamente è il suono e soltanto in seguito, attraverso il suggerimento della nostra esperienza, lo associamo alla sua fonte. Nel testo Tre dialoghi tra Hylas e Philonous, Berkeley affronta il tema della percezione del suono riportando l’esempio dell’udire una carrozza che passa per strada: «quando odo avanzare una carrozza per strada, percepisco immediatamente soltanto il suono; ma, in virtù dell’esperienza che ho acquisito – per la quale quel suono è connesso a una carrozza – dico di udire una carrozza»[7]. L’identificazione del suono con la carrozza è esclusivamente suggerita dall’esperienza e non percepita dai sensi. Anche Maclachlan, noto professore di filosofia alla Queen’s University in Ontario e autore di un interessante testo dal titolo Philosophy of perception, sposa la tesi della percezione indiretta del mondo affermando che, l’esperienza uditiva consiste nell’ascoltare solo suoni e rumori che possono essere messi in relazione con la loro fonte soltanto successivamente alla percezione degli stessi. Le fonti, per Maclachlan, sono evocate dal suono che udiamo, ma non fanno parte dell’esperienza uditiva. Secondo questa prospettiva il suono sarebbe un’entità soggettiva fondamentalmente distaccata dal mondo materiale; prospettiva giustificata, secondo gli autori che la sostengono, dalle esperienze legate anche alle allucinazioni uditive ad esempio in pazienti psicotici. D’altronde, però, questa tesi cozza con la possibilità di riuscire a comunicare tra gli esseri umani il percepito. Senza la garanzia che tutti ascoltiamo i medesimi suoni vivremmo nella totale incomunicabilità sonora. Inoltre, se nella percezione sonora non sentissimo nulla di diverso rispetto al suono e alla qualità, escludendo le fonti dall’esperienza uditiva, non potremmo fino in fondo spiegare come l’udito riesca a individuare gli oggetti che producono i suoni, incarnando la sua principale funzione. Questa funzione d’altronde è strettamente legata all’orientamento nello spazio per farci evitare situazioni potenzialmente pericolose. Siamo in grado di schivare i pericoli non soltanto perché sentiamo un suono, bensì, perché riconosciamo che tale suono è prodotto da qualcosa che è potenzialmente pericoloso.
La teoria che si oppone invece alla percezione indiretta del mondo è sostenuta da alcuni studiosi i quali teorizzano un contatto diretto con il mondo e dunque con gli oggetti che producono i suoni. Secondo questa teoria nella percezione sonora non sentiamo esclusivamente i suoni ma anche le fonti che li producono.
Quando si parla di percezione diretta delle fonti, ciò che si ha in mente non è identificare in maniera accurata la fonte esatta del suono che sentiamo, perché questo non è sempre possibile. Per argomentare in favore della percezione diretta delle fonti, è sufficiente spiegare quali sono le caratteristiche delle fonti sonore alle quali abbiamo accesso da un punto di vista uditivo[8].
Il filosofo Barry Smith, sostenitore di questa posizione, approfondisce il tema dell’ascolto in relazione alla voce. Riconoscere una voce significa, infatti, riconoscere una persona ma anche acquisire molte informazioni su quella persona in quel preciso momento. Attraverso piccolissime variazioni di qualità dalla voce possiamo dedurre il sesso, l’età, lo stato d’animo e molte altre informazioni sulla persona stessa. Il filosofo Matthew Nudds entra nel dibattito tra i sostenitori delle due teorie contrapposte sulla percezione del suono, cercando di promuovere una posizione intermedia. Secondo la sua teoria sentiamo sia i suoni sia le loro proprietà, ed anche se i suoni sono gli unici oggetti della percezione uditiva, la funzione dell’udito ci permette di fare l’esperienza diretta anche delle fonti sonore dalle quali provengono i suoni percepiti. Tutte queste teorie sono suppositive, in quanto, anche per la scienza, non è semplice riuscir a comprendere il funzionamento della percezione uditiva. «Se si riuscisse a spiegare perché sentiamo solo suoni e tuttavia il sistema uditivo ci fa comunque percepire le fonti, avremmo una teoria della percezione uditiva molto convincente»[9].
[1] E. Di Bona, V. Santarcangelo, Il suono. L’esperienza uditiva e i suoi oggetti, Milano 2018, 16.
[2] Ivi, 17.
[3] Ibidem.
[4] Ivi, 29.
[5] Ivi, 30.
[6] Ivi, 43.
[7] J. Berkeley, Tre dialoghi tra Hylas e Philonous, Torino 1996, 331.
[8] E. Di Bona V. Santarcangelo, Il suono, 49.
[9] Ivi, 54.