Perdersi per ritrovarsi
Spesso, nel dialogo con i genitori di adolescenti, mi viene chiesto come si possa prevenire la sofferenza dei loro figli. La mia risposta rimane costante: non è nostro compito rimuovere ogni ostacolo dal loro cammino per evitare la sofferenza, bensì dobbiamo essere presenti e supportarli attraverso queste difficoltà. Dobbiamo agire come sentinelle attente, simili agli alberi che offrono ossigeno e cura. È essenziale perdersi per poi ritrovarsi trasformati, arricchiti dall’esperienza.
Perdersi, in un senso figurato, significa distaccarsi dalle convenzioni e dalle aspettative, dalla propria identità consolidata e dalle certezze della vita. Questo distacco è visto come necessario per intraprendere un viaggio interiore verso la comprensione di sé.
Filosofi come Heidegger hanno discusso dell'”essere gettati nel mondo” senza una chiara direzione, proponendo che proprio attraverso questo smarrimento emergano domande profonde sul nostro scopo e sulla nostra esistenza. Parimenti, in psicologia, la teoria del caos considera il disordine e l’incertezza come elementi cruciali per il cambiamento e la crescita personale.
Questo viaggio di ritrovamento di sé segue spesso un periodo di crisi o di confusione, simile alla notte oscura dell’anima descritta da San Giovanni della Croce, un periodo di trasformazione interiore che segue una perdita di significato. Carl Jung, anch’egli, ha visto questo processo come parte del cammino verso l’individuazione, dove l’inconscio e il conscio si fondono per formare una personalità più completa.
Ritrovarsi, quindi, non implica un ritorno al passato, ma piuttosto un emergere rinnovati, con una nuova consapevolezza di chi siamo e di cosa desideriamo dalla vita. Questo processo può portare a cambiamenti significativi nelle relazioni, nella carriera, o negli interessi personali, segnando un rinnovato approccio alla vita con maggiore resilienza e autenticità.